L’italiano che fa muovere le mani dei robot

The Italian who moves the hands of robots

Attività: 📘 Vocabolario – 📖 Comprensione Scritta
Livello: B1-B2

🇮🇹 Un ingegnere italiano fa muovere le mani dei robot. Sì, perché crea parti del corpo umano robotiche per chi ne ha bisogno.

🇬🇧 An Italian engineer makes robots’ hands move. Yes, because he creates robotic human body parts for those who need them.

Giuseppe Averta, l’italiano che fa muovere le mani dei robot
di Marco Gasperetti

Articolo originale del 16 Aprile 2021 tratto dal giornale online Corriere della Sera

Giuseppe Averta è nato in Calabria, fa ricerca a Pisa e ha vinto il premio per la migliore tesi europea di dottorato in robotica: «Cerco di fare cose semplici e voglio battere la paralisi»

Peppe si distingueva dagli altri bambini non solo per simpatia e intelligenza ma anche per un cacciavite. Anzi il cacciavite. Una sorta di estensione delle sue mani, con il quale smontava tutto ciò che poteva smontare. Non si salvavano telecomandi, piccole radio, giocattoli vari e marchingegni di ogni tipo. Un piccolo Attila? «Assolutamente no, perché tutto ciò che facevo a pezzi lo rimontavo esattamente come era prima, bello e funzionante», ricorda adesso Giuseppe Averta, 28 anni, calabrese di nascita, ricercatore di robotica all’università di Pisa. Che pochi giorni fa ha vinto l’edizione 2021 del «Georges Giralt Phd Award», il premio per la migliore tesi europea di dottorato in robotica conferito dall’associazione che unisce industrie e centri di ricerca europei. Giuseppe è nato a Serra San Bruno (Vibo Valentia), un paese montano di seimila anime a metà strada tra la costa Jonica e quella Tirrenica della Calabria. Un bel posticino, con una certosa medievale, ma non proprio la Silicon Valley. Eppure l’imprinting della robotica Peppe lo ha avuto lì. Assicura che non è stato difficile studiare in un paese sperduto della montagna calabrese. «No, anzi, ero contento, avevo tanti amici, a scuola me la sono cavata abbastanza bene».

E quell’abbastanza significa voti al top e un diploma al liceo scientifico con 100, il massimo dei voti. Poi, con la maturità, è arrivata la fatidica domanda. «Ho pensato, a torto o a ragione, che forse qui non avrei avuto le opportunità che cercavo — racconta — e così dopo averne parlato in famiglia (papà Luigi, mamma Carmela entrambi commercianti e due sorelle Fiorella odontoiatra e Carolina ricercatrice di scienze della nutrizione università di Catanzaro ndr) ho deciso di andare a Pisa, la città ideale per un paesano come me perché non è né troppo grande né troppo piccola. E con un ateneo ottimo per la robotica». Sotto la Torre Pendente Giuseppe ha trovato anche la fidanzata che poi, due anni fa, è diventata sua moglie. Si chiama Manuela, calabrese anche lei, è laureata in medicina e adesso frequenta la specializzazione all’università di Torino in oncologia pediatrica. E si arriva al giorno del riconoscimento. Giuseppe è stato premiato per le sue ricerche sullo sviluppo di protesi robotiche mano-polso «robuste ed efficaci, ma allo stesso tempo in grado di compiere movimenti complessi». Ma attenzione, il vero motivo che ha spinto gli scienziati a premiare il giovane ricercatore è stata la semplicità. Un nuovo approccio meno presuntuoso verso la robotica umanoide, lontano da progetti spesso presentati come straordinari e che una volta usciti dai laboratori si rivelano un flop. «Io cerco di semplificare design e controllo di automi prendendo ispirazione dal corpo umano, senza copiarlo ma semplificandolo», spiega Averta. Piccoli passi, insomma per arrivare piano piano alla progettazione di un automa realmente capace di replicare le funzioni umane come nei romanzi di Asimov. Ma oggi Giuseppe ha un sogno più reale. «Quello di creare sistemi robotici capaci di far tornare a camminare persone colpite da ictus o paralizzate da malattie o incidenti. È un cammino difficile, ma ci arriveremo». Parola dell’ex bambino con il cacciavite.

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📌 1 test di comprensione
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